Da "Balcani Caucaso.org":
Una nevicata di grandi proporzioni si è abbattuta nei giorni scorsi sulla Bosnia Erzegovina. Dichiarato lo stato d’emergenza, ancora notevoli le difficoltà. Tre storie descrivono la situazione del Paese e le condizioni di vita dei cittadini
La mattina di sabato 4 febbraio le immagini di strade bloccate, linee elettriche interrotte e soccorsi in elicottero che, fino al giorno prima, descrivevano sui notiziari le condizioni di vita nei villaggi più isolati, sono diventate la realtà di tutti gli abitanti della Bosnia Erzegovina, cittadini della capitale compresi. Le principali caratteristiche dell'evento meteorologico che sta interessando il Paese sono la sorprendente intensità delle precipitazioni in un lasso di tempo molto breve, le temperature estremamente basse che impediscono lo scioglimento della neve (fino a meno 25 gradi di notte anche a Sarajevo città) e l’estensione del fenomeno a tutto il territorio del Paese, senza eccezione per le zone tradizionalmente con un clima più mite (incluse Mostar e Neum).
Alle 7 del mattino del 4 febbraio la neve aveva raggiunto i 217 cm a Bjelašnica, 101 a Sarajevo, 95 a Kupres, 58 a Bugojno, 54 a Livno, 52 a Mostar. Almeno 11 persone sono morte assiderate, mentre centinaia di località sono rimaste isolate e migliaia di abitazioni senz’acqua e senza corrente, sulle montagne come in diverse città. In tutto il Paese si sta ancora lavorando per stabilizzare la situazione e portare soccorso a chi ne abbia necessità. Anche se la situazione nelle grandi città migliora, l’emergenza non è passata. Le previsioni meteo dei prossimi giorni fanno preoccupare e ulteriori danni potrebbero verificarsi non solo per le nuove precipitazioni ma anche nel caso di un rapido scioglimento della neve. Tra le numerose storie che sono state raccontate dai media locali nella cronaca di questi giorni, ne emergono tre.
Cittadini di Mostar
Il 7 febbraio Mostar est è rimasta senza corrente elettrica per la caduta di un traliccio dell’alta tensione, sulla linea in carico alla Elektroprivreda BiH. I quartieri a ovest non sono stati interessati dal black-out in quanto serviti dalla Elektroprivreda HZ Herceg-Bosne. In una città in cui di rado cade la neve, e le temperature non scendono mai sensibilmente sotto lo zero, il sistema di riscaldamento più comune è a energia elettrica. Oltre 15.000 utenze sono rimaste senza corrente e dunque senza riscaldamento, con la bora che soffiava a 100 km/h. Mentre la principale via di comunicazione con Sarajevo era ancora difficilmente praticabile, e i lavoratori delle Ferrovie della Federazione liberavano i binari quasi interamente a mano, in città sono iniziati a scarseggiare i beni di prima necessità.
Il centro giovanile Abraševic ha offerto ospitalità a chi si trovava al freddo, mentre alcune decine di cittadini hanno risposto all’appello diramato dal quartier generale della protezione civile di Mostar, accorrendo in aiuto ai lavoratori della Elektroprivreda nella riparazione dell’elettrodotto. I volontari presentatisi all’appuntamento hanno trasportato a mano le travi di ferro necessarie alla riparazione dell’elettrodotto fin sulla collina di Opine, nonostante il freddo e la neve. L’operazione è stata portata a termine con successo il 9 febbraio.
Soccorsi all’elicottero
Per l’evacuazione di persone in condizioni critiche di salute, e la consegna di aiuti umanitari ai numerosi villaggi rimasti isolati, sono stati mobilitati gli elicotteri delle forze armate della BiH e dell’Eufor. L’11 febbraio, una troupe della Federalna Televizija (TV della Federazione) si è imbarcata su un Mi8 per documentare l’intervento nell’area di Kalinovik, in Republika Srpska (RS). Nella circostanza, Darjan Babić e Jasmin Šuvalija sono stati testimoni di un “atterraggio forzato”, come è stato definito dai portavoce dell’esercito. Nei fatti l’elicottero è precipitato al suolo in fase di atterraggio, spezzandosi in più parti, come documentato dallo stesso cameraman . A soccorrere l’equipaggio, fortunatamente illeso, gli abitanti di Bukovica, che aspettavano la consegna degli aiuti. Personaggio simbolo della vicenda, un’anziana donna che ha accolto in casa i superstiti rifocillandoli con zuppa calda, caffè e rakija. Invitata a dire qualcosa di fronte alla telecamera, ha commentato: “Si sono salvati, è la cosa più importante, quel che è stato è stato e non c’è altro, non è così?”.
Il crollo a Skenderija
L'area crollata a Skenderija (Foto Michele Biava)
Vai alla galleria fotografica sul crollo di Skenderija
Poco dopo le 15.00 di domenica 12 febbraio, infine, il tetto della sala da pattinaggio del complesso olimpico di Skenderija, a Sarajevo, è crollato. A causare il cedimento della struttura, già danneggiata durante la guerra, è stato il peso della neve. Il collasso della copertura di 3.226 metri quadri ha dato luogo ad uno spostamento d’aria che ha devastato un negozio di tappeti al piano terra, mentre la massa di neve e detriti ha schiacciato tutto ciò che si trovava all’interno della sala sfondando in alcuni punti la soletta del parcheggio sotterraneo. “E’ come se fosse caduta una granata, ecco come posso spiegartelo...”, ci ha detto un guardiano presente all’esterno dell’edificio al momento del crollo. Fortunatamente anche in questo caso non ci sono state vittime né feriti. Una prima verifica alla struttura ha rilevato, oltre alla completa distruzione della sala, lo slittamento di alcune travi portanti, mentre le coperture delle diverse botteghe presenti sul piazzale del complesso risultano danneggiate e pericolanti sotto il peso della neve. Ancora da stimare il danno materiale, indubbiamente ingente.
Neve di febbraio a Sarajevo
Il crollo a Skenderija è avvenuto pochi giorni dopo l'anniversario dell’inizio delle Olimpiadi invernali di Sarajevo, l’8 febbraio del 1984. Allora nevicò all’ultimo momento utile, alla vigilia della cerimonia di apertura. Il giorno successivo, la pattinatrice Sanda Dubravčić accendeva la fiamma olimpica allo stadio di Koševo, dando inizio ai giochi che videro in gara 1.272 atleti provenienti da 49 Paesi. Da diciotto anni a questa parte, il ricordo di quei giorni felici si contende le emozioni con una ricorrenza di segno opposto. Il 5 febbraio 1994, infatti, il sangue di 68 morti e 144 feriti macchiava la neve intorno al mercato di Markale, colpito da una granata sparata dalle postazioni dell’esercito della Republika Srpska contro la Sarajevo che da ventitré mesi resisteva all’assedio.
Il manto bianco di questi giorni copre ogni cosa, e l’emergenza unisce idealmente un Paese che la politica continua a far viaggiare su binari separati. Ad aprile la neve non ci sarà più. In quei giorni la Bosnia ricorderà un altro anniversario, il ventennale dell'inizio della guerra.
La Guerra dei Dieci Anni
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Re: La Guerra dei Dieci Anni
La Ue promuove Zagabria: pronta per l'Unione
Dal 1° luglio sarà il 28esimo Paese membro dell'Ue. La Commissione: «Rispettate tutte le condizioni»
La Croazia è pronta a diventare a luglio il 28mo Paese membro dell'Unione Europea. Lo ha annunciato la Commissione europea che oggi ha approvato l'ultimo rapporto di monitoraggio.
Il rapporto finale sull'adesione del Paese dell'ex Jugoslavia «è una notizia positiva - ha commentato il Commissario europeo per l'allargamento e la politica europea di vicinato, Stefan Fuele - I risultati raggiunti andranno a diretto beneficio dei cittadini». La Commissione europea spiega che la Croazia «ha mostrato la volontà e la capacità di rispettare tutti gli impegni in tempo utile prima dell'adesione». Tuttavia, ha avvertito la Commissione, il processo di riforme avviato non deve concludersi con l'adesione: «Ci si aspetta che la Croazia continui a seguire il suo percorso nel campo dello stato di diritto, in particolare nella lotta contro la corruzione».
PROGRESSI - Nell'ottobre scorso, l'esecutivo di Bruxelles aveva indicato una lista di 10 settori nei quali erano necessari ulteriori progressi, dal miglioramento del sistema giudiziario al completamento dei posti di frontiera. Progressi che la Commissione ritiene siano stati fatti. La Croazia, si legge nel rapporto, «è adesso pronta per prendere il suo posto nell'Ue come previsto ed attendiamo con ansia il completamento del processo della ratifica del Trattato di adesione e di accoglierla nell'Unione il primo luglio».
BALCANI - Gli altri Paesi dei Balcani rimangono in ritardo. Il Montenegro ha inviato i negoziati per l'adesione, mentre Serbia e Bosnia devono ancora cominciare.
Dal 1° luglio sarà il 28esimo Paese membro dell'Ue. La Commissione: «Rispettate tutte le condizioni»
La Croazia è pronta a diventare a luglio il 28mo Paese membro dell'Unione Europea. Lo ha annunciato la Commissione europea che oggi ha approvato l'ultimo rapporto di monitoraggio.
Il rapporto finale sull'adesione del Paese dell'ex Jugoslavia «è una notizia positiva - ha commentato il Commissario europeo per l'allargamento e la politica europea di vicinato, Stefan Fuele - I risultati raggiunti andranno a diretto beneficio dei cittadini». La Commissione europea spiega che la Croazia «ha mostrato la volontà e la capacità di rispettare tutti gli impegni in tempo utile prima dell'adesione». Tuttavia, ha avvertito la Commissione, il processo di riforme avviato non deve concludersi con l'adesione: «Ci si aspetta che la Croazia continui a seguire il suo percorso nel campo dello stato di diritto, in particolare nella lotta contro la corruzione».
PROGRESSI - Nell'ottobre scorso, l'esecutivo di Bruxelles aveva indicato una lista di 10 settori nei quali erano necessari ulteriori progressi, dal miglioramento del sistema giudiziario al completamento dei posti di frontiera. Progressi che la Commissione ritiene siano stati fatti. La Croazia, si legge nel rapporto, «è adesso pronta per prendere il suo posto nell'Ue come previsto ed attendiamo con ansia il completamento del processo della ratifica del Trattato di adesione e di accoglierla nell'Unione il primo luglio».
BALCANI - Gli altri Paesi dei Balcani rimangono in ritardo. Il Montenegro ha inviato i negoziati per l'adesione, mentre Serbia e Bosnia devono ancora cominciare.
Il dono della previsione è far comprendere quanto sia perfettamente inutile dare una risposta alle domande sbagliate (Ursula Le Guin)
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Re: La Guerra Dei Dieci Anni
Da studioso della Slavia quale sono io, diciamo che uno dei paesi della cosiddetta "ex-Jugoslavia" sta per entrare nella zona Euro con tutti i vantaggi e svantaggi annessi e connessi con conseguente adeguamento a quei durissimi parametri economici dell'Unione che, come (ahinoi) sappiamo, possono strangolare alla lunga quei paesi membri, non ultima Cipro, che dimostrano di non poterli assolutamente sostenere.
Un caso, dunque, quello croato tutto da analizzare e valutare prossimamente, insomma
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Re: La Guerra dei Dieci Anni
Venti anni fa, la distruzione del Ponte Vecchio di Mostar.
http://www.balcanicaucaso.org/aree/Bosn ... opo-143828
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Re: La Guerra dei Dieci Anni
Ricostruita la Biblioteca di Sarajevo.
http://www.lastampa.it/2014/05/11/multi ... agina.html
La memorabile canzone dei CSI
https://www.youtube.com/watch?v=hgnUCkU7cYE
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Re: La Guerra dei Dieci Anni
Da "BalcanieCaucaso.org":
Ljubljanska banka: la Slovenia deve pagare
Stefano Lusa | Capodistria 21 luglio 2014
La Corte europea per i diritti dell’uomo ha stabilito che la Slovenia dovrà indennizzare i risparmiatori bosniaci che avevano depositi presso la Banca di Lubiana durante gli anni novanta, e che da 25 anni attendono di poter ritirare i propri risparmi
Si è conclusa con una Caporetto per la Slovenia la vicenda giudiziaria legata ai conti in valuta presso le filiali di Sarajevo e Zagabria della Banca di Lubiana. Il tribunale europeo per i diritti dell’uomo ha stabilito, nel caso giudiziario promosso da quattro risparmiatori bosniaci, che il paese dovrà corrispondere i depositi e indennizzarli con 4.000 euro, a cui vanno aggiunti gli interessi. Il tribunale ha inoltre stabilito che adesso Lubiana avrà un anno di tempo per preparare lo schema per indennizzare tutti coloro che da 25 anni attendono di poter ritirare i loro risparmi. Se non lo farà, potrà essere il tribunale stesso ad imporre le somme da pagare. Negli uffici di Strasburgo, infatti, sono già state depositate altre 1.650 cause, inoltrate da più di 8.000 risparmiatori.
È la seconda grossa tegola, dopo quella dei cancellati, che si abbatte, in poco tempo, sulla Slovenia per vicende legate al processo d’indipendenza del paese. La cosa sino a pochi anni fa sembrava impossibile. Lubiana era stata considerata per anni un esempio, un paese che se n’era andato dalla Jugoslavia in maniera elegante, rispettando i diritti umani e mantenendo uno standard di vita e uno stato sociale molto migliore degli altri. Adesso, con un paese in crisi e con una classe politica impegnata in una guerra senza quartiere, i nodi sembrano essere arrivati al pettine.
Quanto dovrà pagare Lubiana?
Lubiana, comunque, più che riflettere sull’ennesima sanzione per la violazione dei diritti umani, pare piuttosto preoccupata di quanto dovrà pagare. Secondo i primi calcoli i depositi non ritirati nelle due filiali ammontano a 250 milioni di euro a cui andrebbero aggiunti circa altrettanti d’interessi. Ora si tratterà di trovare entro un anno una soluzione complessiva, seguendo lo stesso schema che negli anni novanta fu usato per indennizzare i residenti in Slovenia, che avevano i loro depositi nelle banche della repubblica e in quelle del resto della federazione. In parole povere, significherà che dovrebbero venir corrisposti immediatamente 500 euro e poi il resto nell’arco di 5 anni.
La decisione dell’Alta corte è stata presa con 15 voti a favore e due contrari, quello del giudice sloveno e di quello tedesco. Ora non resterà che pagare. Dopo la prima sentenza che dava torto a Lubiana, del 6 novembre 2012, la Slovenia si era immediatamente appellata e non aveva mancato di dichiararsi molto fiduciosa delle proprie ragioni. La sua argomentazione era che si trattava di una questione che andava risolta nell’ambito delle trattative sulla successione e che lei stessa aveva provveduto a indennizzare tutti coloro che avevano depositi in banche sul territorio sloveno, indipendentemente dal fatto che si trattasse di una banca slovena o di una filiale di banche delle altre repubbliche federali.
La tesi di Lubiana, comunque, non è stata contraddetta dal tribunale e la vicenda sarà ancora materia di scontro tra i paesi successori dell’ex federazione, ma ha semplicemente messo in primo piano il diritto dei piccoli risparmiatori di riavere i loro soldi, rispetto alla ricerca di una soluzione nell’ambito di complesse (e relativamente infruttuose) trattative tra gli stati.
Una vicenda complicata
I depositi in valuta nelle banche jugoslave erano garantiti dalla federazione. Nel 1992 gli stati successori decisero di accollarsi le garanzie per i depositi seguendo il principio territoriale indipendentemente dalla cittadinanza del risparmiatore. L’unica a non seguire questo schema fu la Croazia, che così in pratica escluse dai risarcimenti principalmente i serbi.
La questione dei risparmiatori e dei depositi non corrisposti presso le filiali in giro per la Jugoslavia della Banca di Lubiana, e soprattutto in quella di Zagabria, furono, sin dall’inizio degli anni novanta, materia per feroci polemiche. La Slovenia furbescamente sciolse il nodo gordiano nel 1994, fondando la Nuova Banca di Lubiana. A questo istituto vennero trasferiti tutti i beni della Banca di Lubiana, lasciando alla vecchia banca tutte le pendenza derivanti dalla successione. In gioco non c’era, ovviamente, solo la questione dei risparmi, ma anche le pendenze di numerose aziende disseminate sul territorio della ex federazione nei confronti della principale banca slovena ed anche quelle nei confronti della Banca di Jugoslavia. Da Lubiana danno ad intendere che proprio questi soldi ora potrebbero essere materia di ulteriori contenziosi giudiziari, che potrebbero arrivare sino a Strasburgo, ma questa volta con la Slovenia a giocare il ruolo di parte lesa.
In ogni modo la diatriba è ancora aperta e pare destinata a continuare a riempire le pagine dei giornali. Significativamente proprio il nodo delle banche e nello specifico delle cause mosse contro la Banca di Lubiana in Croazia erano state l’ultimo ostacolo sulla strada dell’ingresso della Croazia nell’Unione Europea. La Slovenia aveva chiesto e ottenuto precise garanzie prima di accendere definitivamente luce verde a Zagabria.
Solo alla fine sarà chiaro chi in tutta questa vicenda ci ha perso, e chi invece guadagnato. Quello che appare certo, comunque, è che la lunga disputa ha portato all’eliminazione degli istituti di credito sloveni dalle repubbliche dell’ex federazione ed ha praticamente impedito la penetrazione delle banche slovene su questi mercati. Secondo molti analisti i vantaggi di ciò sarebbero stati molto superiori rispetto al valore stesso dei depositi, che adesso comunque verranno corrisposti.
Ljubljanska banka: la Slovenia deve pagare
Stefano Lusa | Capodistria 21 luglio 2014
La Corte europea per i diritti dell’uomo ha stabilito che la Slovenia dovrà indennizzare i risparmiatori bosniaci che avevano depositi presso la Banca di Lubiana durante gli anni novanta, e che da 25 anni attendono di poter ritirare i propri risparmi
Si è conclusa con una Caporetto per la Slovenia la vicenda giudiziaria legata ai conti in valuta presso le filiali di Sarajevo e Zagabria della Banca di Lubiana. Il tribunale europeo per i diritti dell’uomo ha stabilito, nel caso giudiziario promosso da quattro risparmiatori bosniaci, che il paese dovrà corrispondere i depositi e indennizzarli con 4.000 euro, a cui vanno aggiunti gli interessi. Il tribunale ha inoltre stabilito che adesso Lubiana avrà un anno di tempo per preparare lo schema per indennizzare tutti coloro che da 25 anni attendono di poter ritirare i loro risparmi. Se non lo farà, potrà essere il tribunale stesso ad imporre le somme da pagare. Negli uffici di Strasburgo, infatti, sono già state depositate altre 1.650 cause, inoltrate da più di 8.000 risparmiatori.
È la seconda grossa tegola, dopo quella dei cancellati, che si abbatte, in poco tempo, sulla Slovenia per vicende legate al processo d’indipendenza del paese. La cosa sino a pochi anni fa sembrava impossibile. Lubiana era stata considerata per anni un esempio, un paese che se n’era andato dalla Jugoslavia in maniera elegante, rispettando i diritti umani e mantenendo uno standard di vita e uno stato sociale molto migliore degli altri. Adesso, con un paese in crisi e con una classe politica impegnata in una guerra senza quartiere, i nodi sembrano essere arrivati al pettine.
Quanto dovrà pagare Lubiana?
Lubiana, comunque, più che riflettere sull’ennesima sanzione per la violazione dei diritti umani, pare piuttosto preoccupata di quanto dovrà pagare. Secondo i primi calcoli i depositi non ritirati nelle due filiali ammontano a 250 milioni di euro a cui andrebbero aggiunti circa altrettanti d’interessi. Ora si tratterà di trovare entro un anno una soluzione complessiva, seguendo lo stesso schema che negli anni novanta fu usato per indennizzare i residenti in Slovenia, che avevano i loro depositi nelle banche della repubblica e in quelle del resto della federazione. In parole povere, significherà che dovrebbero venir corrisposti immediatamente 500 euro e poi il resto nell’arco di 5 anni.
La decisione dell’Alta corte è stata presa con 15 voti a favore e due contrari, quello del giudice sloveno e di quello tedesco. Ora non resterà che pagare. Dopo la prima sentenza che dava torto a Lubiana, del 6 novembre 2012, la Slovenia si era immediatamente appellata e non aveva mancato di dichiararsi molto fiduciosa delle proprie ragioni. La sua argomentazione era che si trattava di una questione che andava risolta nell’ambito delle trattative sulla successione e che lei stessa aveva provveduto a indennizzare tutti coloro che avevano depositi in banche sul territorio sloveno, indipendentemente dal fatto che si trattasse di una banca slovena o di una filiale di banche delle altre repubbliche federali.
La tesi di Lubiana, comunque, non è stata contraddetta dal tribunale e la vicenda sarà ancora materia di scontro tra i paesi successori dell’ex federazione, ma ha semplicemente messo in primo piano il diritto dei piccoli risparmiatori di riavere i loro soldi, rispetto alla ricerca di una soluzione nell’ambito di complesse (e relativamente infruttuose) trattative tra gli stati.
Una vicenda complicata
I depositi in valuta nelle banche jugoslave erano garantiti dalla federazione. Nel 1992 gli stati successori decisero di accollarsi le garanzie per i depositi seguendo il principio territoriale indipendentemente dalla cittadinanza del risparmiatore. L’unica a non seguire questo schema fu la Croazia, che così in pratica escluse dai risarcimenti principalmente i serbi.
La questione dei risparmiatori e dei depositi non corrisposti presso le filiali in giro per la Jugoslavia della Banca di Lubiana, e soprattutto in quella di Zagabria, furono, sin dall’inizio degli anni novanta, materia per feroci polemiche. La Slovenia furbescamente sciolse il nodo gordiano nel 1994, fondando la Nuova Banca di Lubiana. A questo istituto vennero trasferiti tutti i beni della Banca di Lubiana, lasciando alla vecchia banca tutte le pendenza derivanti dalla successione. In gioco non c’era, ovviamente, solo la questione dei risparmi, ma anche le pendenze di numerose aziende disseminate sul territorio della ex federazione nei confronti della principale banca slovena ed anche quelle nei confronti della Banca di Jugoslavia. Da Lubiana danno ad intendere che proprio questi soldi ora potrebbero essere materia di ulteriori contenziosi giudiziari, che potrebbero arrivare sino a Strasburgo, ma questa volta con la Slovenia a giocare il ruolo di parte lesa.
In ogni modo la diatriba è ancora aperta e pare destinata a continuare a riempire le pagine dei giornali. Significativamente proprio il nodo delle banche e nello specifico delle cause mosse contro la Banca di Lubiana in Croazia erano state l’ultimo ostacolo sulla strada dell’ingresso della Croazia nell’Unione Europea. La Slovenia aveva chiesto e ottenuto precise garanzie prima di accendere definitivamente luce verde a Zagabria.
Solo alla fine sarà chiaro chi in tutta questa vicenda ci ha perso, e chi invece guadagnato. Quello che appare certo, comunque, è che la lunga disputa ha portato all’eliminazione degli istituti di credito sloveni dalle repubbliche dell’ex federazione ed ha praticamente impedito la penetrazione delle banche slovene su questi mercati. Secondo molti analisti i vantaggi di ciò sarebbero stati molto superiori rispetto al valore stesso dei depositi, che adesso comunque verranno corrisposti.
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Re: La Guerra dei Dieci Anni
Bosnia Erzegovina e Serbia: di nuovo fango, di nuovo rabbia
Rodolfo Toè | Sarajevo 8 agosto 2014
Nuove alluvioni hanno colpito i due paesi negli scorsi giorni. Le acque hanno inondato per lo più le stesse aree che erano state messe in ginocchio già a maggio. Le popolazioni, intanto, cominciano a protestare contro le mancanze nell'azione dei due governi
Bosnia Erzegovina e Serbia di nuovo in ginocchio. Sono passati soltanto tre mesi, dalle grandi alluvioni di maggio, che hanno provocato nei due paesi quasi ottanta morti e miliardi di euro di danni, e la tragedia sembra non essere finita. In alcuni casi, comprensibilmente soprattutto nelle municipalità che non si erano trovate nell'occhio del ciclone in primavera, si parla di "danni superiori a quelli di maggio scorso". Per il momento, in molte aree è stato dichiarato lo stato d'emergenza. I morti accertati finora [scriviamo nel tardo pomeriggio di giovedì 7 maggio] sono tre: uno in Serbia e due in Bosnia Erzegovina, mentre continuano le ricerche di un disperso nella zona di Banja Luka.
Bosnia Erzegovina
In Bosnia Erzegovina, il clima particolarmente piovoso delle scorse settimane ha provocato enormi disagi a viabilità e centri abitati. Le aree più colpite si trovano a Brčko, Srebrenik, Banja Luka, Prnjavor, Bijeljina, Čelinac (dove sono stati distrutti ben 7 ponti), Derventa, Gračanica, Žepče, Lukavac, Banovići, Doboj e Maglaj: per la maggior parte, si tratta di regioni dove già in maggio i danni delle alluvioni erano stati pesantissimi.
A Srebrenik, cittadina nel cantone di Tuzla, circa 500 case sono state allagate per lo straripamento del fiume Tinja. Più di mille persone, fino a questo momento, sono state costrette ad evacuare. Secondo i residenti, le devastazioni sono maggiori di quelle che erano toccate alla città a maggio. Allora gli argini avevano resistito ma - accusano gli abitanti - erano stati fortemente danneggiati, e l'amministrazione pubblica non si è assolutamente preoccupata di metterli in sicurezza, con il risultato che mercoledì sera hanno ceduto, lasciando il paese in balia delle acque. Sempre nel cantone di Tuzla, ingenti danni sono stati registrati nelle municipalità di Lukavac, Gračanica e di Čelić, tutte finite sott'acqua. Si registrano centinaia di abitazioni allagate e, secondo il capo della protezione civile del cantone Zdenko Tadić, il peggio deve ancora arrivare: "Il livello di accumulazione del lago Modrac sale di ora in ora", sottolinea, "ci aspettiamo che le acque superino di un metro il livello di guardia, il che non lascia presagire nulla di buono per gli abitanti".
Altre aree toccate dalle alluvioni nel corso della giornata di mercoledì scorso sono Banja Luka e Bijeljina. A Banja Luka, secondo le cifre comunicate dal comitato di emergenza riunitosi nella tarda serata del 6 agosto, ci sarebbero 247 case alluvionate, oltre ad altre 60 danneggiate dalle frane riattivatesi per le forti piogge. La situazione, ad ogni modo, starebbe già tornando alla normalità, e già oggi gli abitanti e la protezione civile hanno cominciato a ripulire e disinfettare le proprie case. Nel territorio di Bijeljina i danni peggiori si registrano nella località di Janja, dove centinaia di abitazioni sono state colpite dalle inondazioni. Militari, membri della protezione civile e volontari sono al lavoro per cercare di rinforzare gli argini, in un film identico a quello già visto tre mesi fa.
Serbia
Anche la Serbia, soprattutto nella sua parte occidentale e in quella centrale, è stata colpita dal maltempo che ha portato nuove alluvioni. In particolare, le inondazioni hanno riguardato le località di Banja Koviljača e di Losnica, al confine con la Bosnia Erzegovina. A Losnica è stato dichiarato lo stato di calamità naturale, mentre a Banja Koviljača un uomo è morto, travolto dalle acque mentre si trovava nel seminterrato della propria abitazione.
A Kosjerić, una città nel distretto centrale di Zlatibor, il fiume ha invaso il paese, distruggendo - come riportato dall'emittente B92 - "tutto ciò che era riuscito a rimanere intatto dopo le inondazioni di maggio". "Il fiume è arrivato in 20 minuti e ha sommerso immediatamente ogni cosa", ha raccontato una delle residenti, Mirjana Jovčić. Anche in questo caso, non si risparmiano le critiche alle autorità: "Dopo le alluvioni di maggio, nessuno è venuto a chiederci se avessimo bisogno di aiuto", lamenta Miodrag Nikolić, che ha perso la sua casa tre mesi fa, "abbiamo più volte allertato le autorità, chiedendo loro che provvedessero a ripulire il letto del fiume", ostruito dai detriti trasportati in primavera. "Oggi finalmente sono venuti qui da noi", conclude amaramente Nikolić, "visto che il fiume è esondato".
Tra proteste e immobilismo
Se da più parti si ripete che queste alluvioni sono peggiori rispetto a quelle di maggio non è, probabilmente, solo una constatazione materiale di fronte ai danni nelle località che in questa primavera erano state toccate solo marginalmente. La frase, piuttosto, riassume bene anche lo stato d'animo delle popolazioni dei due paesi, di fronte all'inerzia delle istituzioni e all'accanirsi del cattivo tempo, che nulla promette di buono nel corso delle prossime settimane. L'emergenza di mercoledì scorso in Bosnia Erzegovina e Serbia non è solo pesante sotto il profilo materiale: è, a livello simbolico, anche la dichiarazione più evidente dell'abbandono in cui sono state lasciate nel corso degli ultimi tre mesi le vittime delle alluvioni.
"La cosa più necessaria ora è ripulire le case, dragare il letto del fiume, riparare gli argini. Tutte cose che bisogna fare in fretta", ha dichiarato il sindaco di Kosjerić, Milijan Stojanić, a Radio Slobodna Evropa. "A ucciderci è l'incuria", ha ammonito. Proprio nelle scorse settimane, in Serbia, la popolazione di Obrenovac (una delle città che più avevano sofferto i danni delle alluvioni nello scorso maggio) era scesa in strada per protestare contro il governo. Per una ironica coincidenza del destino, soltanto in questi giorni ha avuto inizio il pagamento degli indennizzi a chi aveva subito danni durante le scorse alluvioni. Finora, però, i cittadini sono stati lasciati soli e nessuno, dal governo centrale alle autorità della municipalità, ha voluto iniziare le attività di ricostruzione. Jovan Milivojević, uno degli organizzatori della protesta, ha ribadito la propria intenzione di "iniziare una azione legale contro il governo", responsabile di aver causato con la propria negligenza il disastro di tre mesi fa.
In Bosnia Erzegovina, praticamente nulla si è mosso negli ultimi mesi. Per ora, il governo centrale ha deciso di stanziare circa dieci milioni di marchi (circa cinque milioni di euro) per aiutare i cittadini. Ma al di là della cifra, che è stata ripartita come prevedibile su base politica (le due entità del paese avranno il 49% della cifra ciascuna, il restante 2% andrà al distretto di Brčko), non si ha tuttora alcun programma di ricostruzione, mentre in Republika Srpska le poche centinaia di cittadini che hanno ricevuto i voucher promessi da Milorad Dodik aspettano comunque che essi possano essere liquidati: al momento, sono soltanto pezzi di carta.
Il dramma è bene rappresentato dalla catastrofica situazione in cui si trovavano i residenti di Topčić Polje e Željezno Polje, fino a quando non sono stati costretti a lasciare la zona mercoledì. Le due località, che si trovano rispettivamente nelle municipalità di Zenica e Žepće, sono state quasi letteralmente spazzate via da una serie di frane lo scorso maggio. Ma le autorità non hanno fatto praticamente nulla per gli abitanti, limitandosi a inviare qualche macchina pesante, lo stretto necessario per riaprire se non altro le vie di comunicazione. Dopo qualche settimana in molti, senza un posto dove andare, sono tornati alle proprie case distrutte e qualcuno si è adattato a vivere in tenda. A inizio settimana si erano mobilitati in massa per protestare davanti al municipio di Žepče, anche se l'amministrazione locale è attualmente in pausa estiva. Da ieri, hanno cominciato a occupare la strada che da Zenica porta a Doboj, una delle principali del paese, nella speranza che ciò serva ad attirare l'interesse dell'opinione pubblica sulla loro condizione.
"La situazione attuale è inaccettabile", ha dichiarato Muris Bulić, uno degli esponenti del 'Centri civilnih inicijativa', centri di iniziativa civile, che proprio due giorni fa ha presentato, a Sarajevo, un rapporto che analizza la condotta del governo bosniaco nel corso degli ultimi mesi: "Nessuno si è assunto la responsabilità per il diluvio dello scorso maggio, il che dimostra che il nostro governo non risponde ancora ai criteri minimi di democrazia e di sviluppo della società. I cittadini continuano ancora ad aspettare l'aiuto da parte dello stato ma il governo, a quanto pare, non si interessa di questo problema cruciale. Al contrario, la maggior parte dei nostri politici se ne sono andati tranquillamente in vacanza".
Rodolfo Toè | Sarajevo 8 agosto 2014
Nuove alluvioni hanno colpito i due paesi negli scorsi giorni. Le acque hanno inondato per lo più le stesse aree che erano state messe in ginocchio già a maggio. Le popolazioni, intanto, cominciano a protestare contro le mancanze nell'azione dei due governi
Bosnia Erzegovina e Serbia di nuovo in ginocchio. Sono passati soltanto tre mesi, dalle grandi alluvioni di maggio, che hanno provocato nei due paesi quasi ottanta morti e miliardi di euro di danni, e la tragedia sembra non essere finita. In alcuni casi, comprensibilmente soprattutto nelle municipalità che non si erano trovate nell'occhio del ciclone in primavera, si parla di "danni superiori a quelli di maggio scorso". Per il momento, in molte aree è stato dichiarato lo stato d'emergenza. I morti accertati finora [scriviamo nel tardo pomeriggio di giovedì 7 maggio] sono tre: uno in Serbia e due in Bosnia Erzegovina, mentre continuano le ricerche di un disperso nella zona di Banja Luka.
Bosnia Erzegovina
In Bosnia Erzegovina, il clima particolarmente piovoso delle scorse settimane ha provocato enormi disagi a viabilità e centri abitati. Le aree più colpite si trovano a Brčko, Srebrenik, Banja Luka, Prnjavor, Bijeljina, Čelinac (dove sono stati distrutti ben 7 ponti), Derventa, Gračanica, Žepče, Lukavac, Banovići, Doboj e Maglaj: per la maggior parte, si tratta di regioni dove già in maggio i danni delle alluvioni erano stati pesantissimi.
A Srebrenik, cittadina nel cantone di Tuzla, circa 500 case sono state allagate per lo straripamento del fiume Tinja. Più di mille persone, fino a questo momento, sono state costrette ad evacuare. Secondo i residenti, le devastazioni sono maggiori di quelle che erano toccate alla città a maggio. Allora gli argini avevano resistito ma - accusano gli abitanti - erano stati fortemente danneggiati, e l'amministrazione pubblica non si è assolutamente preoccupata di metterli in sicurezza, con il risultato che mercoledì sera hanno ceduto, lasciando il paese in balia delle acque. Sempre nel cantone di Tuzla, ingenti danni sono stati registrati nelle municipalità di Lukavac, Gračanica e di Čelić, tutte finite sott'acqua. Si registrano centinaia di abitazioni allagate e, secondo il capo della protezione civile del cantone Zdenko Tadić, il peggio deve ancora arrivare: "Il livello di accumulazione del lago Modrac sale di ora in ora", sottolinea, "ci aspettiamo che le acque superino di un metro il livello di guardia, il che non lascia presagire nulla di buono per gli abitanti".
Altre aree toccate dalle alluvioni nel corso della giornata di mercoledì scorso sono Banja Luka e Bijeljina. A Banja Luka, secondo le cifre comunicate dal comitato di emergenza riunitosi nella tarda serata del 6 agosto, ci sarebbero 247 case alluvionate, oltre ad altre 60 danneggiate dalle frane riattivatesi per le forti piogge. La situazione, ad ogni modo, starebbe già tornando alla normalità, e già oggi gli abitanti e la protezione civile hanno cominciato a ripulire e disinfettare le proprie case. Nel territorio di Bijeljina i danni peggiori si registrano nella località di Janja, dove centinaia di abitazioni sono state colpite dalle inondazioni. Militari, membri della protezione civile e volontari sono al lavoro per cercare di rinforzare gli argini, in un film identico a quello già visto tre mesi fa.
Serbia
Anche la Serbia, soprattutto nella sua parte occidentale e in quella centrale, è stata colpita dal maltempo che ha portato nuove alluvioni. In particolare, le inondazioni hanno riguardato le località di Banja Koviljača e di Losnica, al confine con la Bosnia Erzegovina. A Losnica è stato dichiarato lo stato di calamità naturale, mentre a Banja Koviljača un uomo è morto, travolto dalle acque mentre si trovava nel seminterrato della propria abitazione.
A Kosjerić, una città nel distretto centrale di Zlatibor, il fiume ha invaso il paese, distruggendo - come riportato dall'emittente B92 - "tutto ciò che era riuscito a rimanere intatto dopo le inondazioni di maggio". "Il fiume è arrivato in 20 minuti e ha sommerso immediatamente ogni cosa", ha raccontato una delle residenti, Mirjana Jovčić. Anche in questo caso, non si risparmiano le critiche alle autorità: "Dopo le alluvioni di maggio, nessuno è venuto a chiederci se avessimo bisogno di aiuto", lamenta Miodrag Nikolić, che ha perso la sua casa tre mesi fa, "abbiamo più volte allertato le autorità, chiedendo loro che provvedessero a ripulire il letto del fiume", ostruito dai detriti trasportati in primavera. "Oggi finalmente sono venuti qui da noi", conclude amaramente Nikolić, "visto che il fiume è esondato".
Tra proteste e immobilismo
Se da più parti si ripete che queste alluvioni sono peggiori rispetto a quelle di maggio non è, probabilmente, solo una constatazione materiale di fronte ai danni nelle località che in questa primavera erano state toccate solo marginalmente. La frase, piuttosto, riassume bene anche lo stato d'animo delle popolazioni dei due paesi, di fronte all'inerzia delle istituzioni e all'accanirsi del cattivo tempo, che nulla promette di buono nel corso delle prossime settimane. L'emergenza di mercoledì scorso in Bosnia Erzegovina e Serbia non è solo pesante sotto il profilo materiale: è, a livello simbolico, anche la dichiarazione più evidente dell'abbandono in cui sono state lasciate nel corso degli ultimi tre mesi le vittime delle alluvioni.
"La cosa più necessaria ora è ripulire le case, dragare il letto del fiume, riparare gli argini. Tutte cose che bisogna fare in fretta", ha dichiarato il sindaco di Kosjerić, Milijan Stojanić, a Radio Slobodna Evropa. "A ucciderci è l'incuria", ha ammonito. Proprio nelle scorse settimane, in Serbia, la popolazione di Obrenovac (una delle città che più avevano sofferto i danni delle alluvioni nello scorso maggio) era scesa in strada per protestare contro il governo. Per una ironica coincidenza del destino, soltanto in questi giorni ha avuto inizio il pagamento degli indennizzi a chi aveva subito danni durante le scorse alluvioni. Finora, però, i cittadini sono stati lasciati soli e nessuno, dal governo centrale alle autorità della municipalità, ha voluto iniziare le attività di ricostruzione. Jovan Milivojević, uno degli organizzatori della protesta, ha ribadito la propria intenzione di "iniziare una azione legale contro il governo", responsabile di aver causato con la propria negligenza il disastro di tre mesi fa.
In Bosnia Erzegovina, praticamente nulla si è mosso negli ultimi mesi. Per ora, il governo centrale ha deciso di stanziare circa dieci milioni di marchi (circa cinque milioni di euro) per aiutare i cittadini. Ma al di là della cifra, che è stata ripartita come prevedibile su base politica (le due entità del paese avranno il 49% della cifra ciascuna, il restante 2% andrà al distretto di Brčko), non si ha tuttora alcun programma di ricostruzione, mentre in Republika Srpska le poche centinaia di cittadini che hanno ricevuto i voucher promessi da Milorad Dodik aspettano comunque che essi possano essere liquidati: al momento, sono soltanto pezzi di carta.
Il dramma è bene rappresentato dalla catastrofica situazione in cui si trovavano i residenti di Topčić Polje e Željezno Polje, fino a quando non sono stati costretti a lasciare la zona mercoledì. Le due località, che si trovano rispettivamente nelle municipalità di Zenica e Žepće, sono state quasi letteralmente spazzate via da una serie di frane lo scorso maggio. Ma le autorità non hanno fatto praticamente nulla per gli abitanti, limitandosi a inviare qualche macchina pesante, lo stretto necessario per riaprire se non altro le vie di comunicazione. Dopo qualche settimana in molti, senza un posto dove andare, sono tornati alle proprie case distrutte e qualcuno si è adattato a vivere in tenda. A inizio settimana si erano mobilitati in massa per protestare davanti al municipio di Žepče, anche se l'amministrazione locale è attualmente in pausa estiva. Da ieri, hanno cominciato a occupare la strada che da Zenica porta a Doboj, una delle principali del paese, nella speranza che ciò serva ad attirare l'interesse dell'opinione pubblica sulla loro condizione.
"La situazione attuale è inaccettabile", ha dichiarato Muris Bulić, uno degli esponenti del 'Centri civilnih inicijativa', centri di iniziativa civile, che proprio due giorni fa ha presentato, a Sarajevo, un rapporto che analizza la condotta del governo bosniaco nel corso degli ultimi mesi: "Nessuno si è assunto la responsabilità per il diluvio dello scorso maggio, il che dimostra che il nostro governo non risponde ancora ai criteri minimi di democrazia e di sviluppo della società. I cittadini continuano ancora ad aspettare l'aiuto da parte dello stato ma il governo, a quanto pare, non si interessa di questo problema cruciale. Al contrario, la maggior parte dei nostri politici se ne sono andati tranquillamente in vacanza".
Il dono della previsione è far comprendere quanto sia perfettamente inutile dare una risposta alle domande sbagliate (Ursula Le Guin)