La siccità del 3.800 a.C.
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La siccità del 3.800 a.C.
Ci sono punti di svolta del cambiamento climatico, nella storia, che ormai fanno parte della cultura storica diffusa. Eventi come la Piccola Età Glaciale o l’Optimum Climatico Medievale sono noti, se non al grande pubblico, almeno ad una rilevante platea di lettori ed appassionati.
Tuttavia, la virata verso il caldo secco impressa dalla circolazione globale alle medie latitudini, verso il 3800 a.C., rischia di essere uno degli eventi più decisivi di tutta la storia dell’umanità. Vediamo di ripercorrerlo, per sommi capi.
In quell’epoca, l’agricoltura si era saldamente insediata nel Medio Oriente ed in gran parte dell’Europa. Un regime precipitativo soddisfacente e regolare consentiva una modalità di insediamento diffusa, lungo le grandi aste fluviali; molti piccoli e medi villaggi popolavano soprattutto le pianure dell’Europa centrale, del Tigri e dell’Eufrate, della Valle del Nilo. La più avanzata civiltà dell’epoca era forse quella diffusa in Bulgaria e Romania, che ci ha lasciato straordinarie testimonianze a livello metallurgico, ceramico, di organizzazione del territorio (cultura di Karanovo III).
Non erano ancora nate le grandi città, non erano nati gli Stati, gli imperi: forse, molto semplicemente, perché non servivano.
Nelle steppe dell’attuale Ucraina e lungo il Volga, popolazioni numerose di pastori, identificate con la cosiddetta cultura di Serednji Stog, di Michajlovka e e poi di Yamna, vivevano tranquille pascendo i loro armenti in pascoli immensi e sempre verdeggianti. La loro lingua, nata forse da un incrocio fra quella pre-pre-semitica degli agricoltori mediorientali e quella uralo-altaica dei cacciatori-raccoglitori del nord, aveva da circa 1000 anni acquisito caratteri assolutamente propri e particolari. I loro usi erano violenti e maschilisti: armati di lance, martelli da battaglia, archi e frecce, costituivano una temibile forza militare. Seppellivano i loro capi, con tutte le loro ricchezze, in grandi tumuli chiamati in russo “kurgan”. Ma i loro contatti coi vicini coltivatori restavano in prevalenza pacifici.
Poi, intorno al 3.800, qualcosa cambiò. Il clima divenne più secco, tendenza che influenzò tutta l’Asia sud-occidentale e le regioni del Mediterraneo orientale per oltre mille anni. L’irradiazione solare diminuì in tutto il mondo: il fenomeno è ben documentato dagli anelli di crescita degli alberi datati al radiocarbonio, dall’analisi delle carote di sedimenti, ma anche da rilevamenti fatti in luoghi molto distanti, come la California meridionale. Simili cambiamenti sono causati dall’alterazione dell’angolo di rotazione della Terra rispetto al Sole, che determina la quantità di radiazione che raggiunge la superficie del nostro pianeta.
In brevissimo tempo, il monsone sud-occidentale, con le sue piogge estive, si indebolì e si spostò a Sud. Le precipitazioni scarseggiavano, iniziavano più tardi e finivano molto prima. Ormai, in gran parte del Medio Oriente e dell’Europa centromeridionale, per coltivare la terra non bastava attendere la pioggia. Bisognava irrigare.
Gli scavi archeologici testimoniano che, nel Medio Oriente, molte persone abbandonarono i villaggi per confluire in insediamenti sempre più grandi, in grado di eseguire e controllare vasti lavori idraulici. Questi insediamenti si concentrarono laddove i canali principali si diramavano dal fiume. Si trattò di un cambiamento improvviso, violento. Nel giro di due secoli, l’aspetto della Mesopotamia cambiò totalmente. Mentre il Nord si inaridiva,tutto il settore meridionale non fu più allagato sistematicamente dai fiumi, si drenò naturalmente e divenne adatto all’insediamento.
Verso il 3.500 a.C., nasceva così la prima città del mondo: Uruk, in Sumeria. Per dare un’idea delle dimensioni: 3x2,5 chilometri, oltre il doppio dell’Atene classica, appena la metà della Roma dei Cesari, una popolazione stimata di 250.000 abitanti, una città che nel 2.900 a.C. si presentava cinta da una cerchia di mura lunga 9 (nove) chilometri. Le sue colonie si spingevano fino all’Anatolia ed all’interno dell’attuale Iran. Contemporaneamente, ad Uruk veniva inventata la scrittura.
Non basterebbe un’enciclopedia, per raccontare le meraviglie della civiltà sumerica: qui basti evidenziare come essa emerga di colpo, come spinta da una drammatica necessità, più che dalle normali dinamiche dell’evoluzione sociale ed economica. Su questo, storici anche non avvezzi a considerare le dinamiche climatiche concordano in pieno.
Se nel Medio Oriente la siccità faceva rifluire gli agricoltori entro le grandi città ed al servizio dei re-sacerdoti, in Occidente le cose andavano in modo ancor più traumatico.
Molto probabilmente, l’inaridimento dei pascoli costrinse le tribù Yamna a cercare altre terre; ed in questo processo, essi entrarono direttamente in competizione con le culture agricole sedentarie poste più a Sud, apprendendone al contempo le tecniche.
L’archeologia ci rivela che, poco dopo il 3.800 a.C., l’intera civiltà di Karanovo III fu spazzata via da un’invasione di pastori nomadi provenienti da nord. Nella stessa epoca nascono, sulle sponde del Mar Nero e nelle steppe ucraine, culture stavolta miste, agricolo-pastorali. Intorno al 3.500 a.C. l’antica unità della lingua indoeuropea delle tribù Yamna si interrompe: le punte più avanzate dell’espansione, dopo aver distrutto la civiltà di Karanovo, passano il Bosforo e migrano in Anatolia, dove molti secoli dopo daranno vita alla prima civiltà indoeuropea passata alla storia: quella ittita.
Nei secoli seguenti, il processo di inaridimento, però, non si arresta. Ormai, i popoli dell’ascia da combattimento hanno imparato la lezione, e si impadroniscono velocemente dei grandi spazi della steppa. Nel cruciale periodo che segue l’inizio della grande siccità, il loro influsso si diffonde fino a tutto il bacino del Danubio ed alla penisola balcanica. I linguisti affermano che è proprio alla fine del IV millennio a.C. che si rompe definitivamente l’unità linguistica degli indoeuropei e si iniziano a formare i gruppi del cosiddetto insieme europeo: germanici, celtici, baltici, slavi, traci, etc. Nelle steppe originarie restano gli antenati dei greci (partiranno verso il 2.300 a.C), degli iraniani e degli indiani (partiti verso il 2.000 a.C).
Nel 2.900 a.C. si può dire che l’indoeuropeizzazione di gran parte dell’Europa sia compiuta. Le culture neolitiche, matriarcali, agricole e tendenzialmente pacifiche, sono distrutte o restano come sfondo, spesso inconsapevole, delle nuove credenze. La cultura della Ceramica a Cordicella si diffonde dalle Alpi al Baltico, dalla Francia all’Ucraina, e mostra un’unità ideologica e di cultura materiale stupefacente. Sembra che un unico popolo, o meglio, un’unica ideologia, abbia piallato l’Europa sotto un unico rituale funerario, una unica concezione delle credenze religiose, un unico stile ceramico, una pressoché identica cultura materiale. Gli oscuri secoli delle invasioni dei popoli delle steppe hanno in qualche modo creato l’Europa che conosciamo ancora oggi, sotto la spinta incalzante di uno dei più significativi cambiamenti climatici che la storia abbia mai conosciuto.
Gli indoeuropei nel 3.500 a.C.:
nel 2.500 a.C:
ed, infine, nel 1.500 a.C.:
I magnifici ornamenti di mattoni colorati ("riemchen") dei templi della prima Uruk urbana (strato IV a)
Temperatura delle carote glaciali groenlandesi negli ultimi 8.000 anni. Notare il colpo di freddo della metà del IV millennio a.C:
BIBLIOGRAFIA:
Brian Fagan, La lunga estate, Torino, 2005
Francisco Villar, Gli indoeuropei e le origini dell'Europa, Bologna, 1997
Giovanni Pettinato, I Sumeri, Milano, 2005
Storia d'Europa, vol. 2 tomo I, Preistoria e antichità, Torino, 1994.
Tuttavia, la virata verso il caldo secco impressa dalla circolazione globale alle medie latitudini, verso il 3800 a.C., rischia di essere uno degli eventi più decisivi di tutta la storia dell’umanità. Vediamo di ripercorrerlo, per sommi capi.
In quell’epoca, l’agricoltura si era saldamente insediata nel Medio Oriente ed in gran parte dell’Europa. Un regime precipitativo soddisfacente e regolare consentiva una modalità di insediamento diffusa, lungo le grandi aste fluviali; molti piccoli e medi villaggi popolavano soprattutto le pianure dell’Europa centrale, del Tigri e dell’Eufrate, della Valle del Nilo. La più avanzata civiltà dell’epoca era forse quella diffusa in Bulgaria e Romania, che ci ha lasciato straordinarie testimonianze a livello metallurgico, ceramico, di organizzazione del territorio (cultura di Karanovo III).
Non erano ancora nate le grandi città, non erano nati gli Stati, gli imperi: forse, molto semplicemente, perché non servivano.
Nelle steppe dell’attuale Ucraina e lungo il Volga, popolazioni numerose di pastori, identificate con la cosiddetta cultura di Serednji Stog, di Michajlovka e e poi di Yamna, vivevano tranquille pascendo i loro armenti in pascoli immensi e sempre verdeggianti. La loro lingua, nata forse da un incrocio fra quella pre-pre-semitica degli agricoltori mediorientali e quella uralo-altaica dei cacciatori-raccoglitori del nord, aveva da circa 1000 anni acquisito caratteri assolutamente propri e particolari. I loro usi erano violenti e maschilisti: armati di lance, martelli da battaglia, archi e frecce, costituivano una temibile forza militare. Seppellivano i loro capi, con tutte le loro ricchezze, in grandi tumuli chiamati in russo “kurgan”. Ma i loro contatti coi vicini coltivatori restavano in prevalenza pacifici.
Poi, intorno al 3.800, qualcosa cambiò. Il clima divenne più secco, tendenza che influenzò tutta l’Asia sud-occidentale e le regioni del Mediterraneo orientale per oltre mille anni. L’irradiazione solare diminuì in tutto il mondo: il fenomeno è ben documentato dagli anelli di crescita degli alberi datati al radiocarbonio, dall’analisi delle carote di sedimenti, ma anche da rilevamenti fatti in luoghi molto distanti, come la California meridionale. Simili cambiamenti sono causati dall’alterazione dell’angolo di rotazione della Terra rispetto al Sole, che determina la quantità di radiazione che raggiunge la superficie del nostro pianeta.
In brevissimo tempo, il monsone sud-occidentale, con le sue piogge estive, si indebolì e si spostò a Sud. Le precipitazioni scarseggiavano, iniziavano più tardi e finivano molto prima. Ormai, in gran parte del Medio Oriente e dell’Europa centromeridionale, per coltivare la terra non bastava attendere la pioggia. Bisognava irrigare.
Gli scavi archeologici testimoniano che, nel Medio Oriente, molte persone abbandonarono i villaggi per confluire in insediamenti sempre più grandi, in grado di eseguire e controllare vasti lavori idraulici. Questi insediamenti si concentrarono laddove i canali principali si diramavano dal fiume. Si trattò di un cambiamento improvviso, violento. Nel giro di due secoli, l’aspetto della Mesopotamia cambiò totalmente. Mentre il Nord si inaridiva,tutto il settore meridionale non fu più allagato sistematicamente dai fiumi, si drenò naturalmente e divenne adatto all’insediamento.
Verso il 3.500 a.C., nasceva così la prima città del mondo: Uruk, in Sumeria. Per dare un’idea delle dimensioni: 3x2,5 chilometri, oltre il doppio dell’Atene classica, appena la metà della Roma dei Cesari, una popolazione stimata di 250.000 abitanti, una città che nel 2.900 a.C. si presentava cinta da una cerchia di mura lunga 9 (nove) chilometri. Le sue colonie si spingevano fino all’Anatolia ed all’interno dell’attuale Iran. Contemporaneamente, ad Uruk veniva inventata la scrittura.
Non basterebbe un’enciclopedia, per raccontare le meraviglie della civiltà sumerica: qui basti evidenziare come essa emerga di colpo, come spinta da una drammatica necessità, più che dalle normali dinamiche dell’evoluzione sociale ed economica. Su questo, storici anche non avvezzi a considerare le dinamiche climatiche concordano in pieno.
Se nel Medio Oriente la siccità faceva rifluire gli agricoltori entro le grandi città ed al servizio dei re-sacerdoti, in Occidente le cose andavano in modo ancor più traumatico.
Molto probabilmente, l’inaridimento dei pascoli costrinse le tribù Yamna a cercare altre terre; ed in questo processo, essi entrarono direttamente in competizione con le culture agricole sedentarie poste più a Sud, apprendendone al contempo le tecniche.
L’archeologia ci rivela che, poco dopo il 3.800 a.C., l’intera civiltà di Karanovo III fu spazzata via da un’invasione di pastori nomadi provenienti da nord. Nella stessa epoca nascono, sulle sponde del Mar Nero e nelle steppe ucraine, culture stavolta miste, agricolo-pastorali. Intorno al 3.500 a.C. l’antica unità della lingua indoeuropea delle tribù Yamna si interrompe: le punte più avanzate dell’espansione, dopo aver distrutto la civiltà di Karanovo, passano il Bosforo e migrano in Anatolia, dove molti secoli dopo daranno vita alla prima civiltà indoeuropea passata alla storia: quella ittita.
Nei secoli seguenti, il processo di inaridimento, però, non si arresta. Ormai, i popoli dell’ascia da combattimento hanno imparato la lezione, e si impadroniscono velocemente dei grandi spazi della steppa. Nel cruciale periodo che segue l’inizio della grande siccità, il loro influsso si diffonde fino a tutto il bacino del Danubio ed alla penisola balcanica. I linguisti affermano che è proprio alla fine del IV millennio a.C. che si rompe definitivamente l’unità linguistica degli indoeuropei e si iniziano a formare i gruppi del cosiddetto insieme europeo: germanici, celtici, baltici, slavi, traci, etc. Nelle steppe originarie restano gli antenati dei greci (partiranno verso il 2.300 a.C), degli iraniani e degli indiani (partiti verso il 2.000 a.C).
Nel 2.900 a.C. si può dire che l’indoeuropeizzazione di gran parte dell’Europa sia compiuta. Le culture neolitiche, matriarcali, agricole e tendenzialmente pacifiche, sono distrutte o restano come sfondo, spesso inconsapevole, delle nuove credenze. La cultura della Ceramica a Cordicella si diffonde dalle Alpi al Baltico, dalla Francia all’Ucraina, e mostra un’unità ideologica e di cultura materiale stupefacente. Sembra che un unico popolo, o meglio, un’unica ideologia, abbia piallato l’Europa sotto un unico rituale funerario, una unica concezione delle credenze religiose, un unico stile ceramico, una pressoché identica cultura materiale. Gli oscuri secoli delle invasioni dei popoli delle steppe hanno in qualche modo creato l’Europa che conosciamo ancora oggi, sotto la spinta incalzante di uno dei più significativi cambiamenti climatici che la storia abbia mai conosciuto.
Gli indoeuropei nel 3.500 a.C.:
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Ultima modifica di burjan il lun 27 set, 2010 23:02, modificato 6 volte in totale.
Il dono della previsione è far comprendere quanto sia perfettamente inutile dare una risposta alle domande sbagliate (Ursula Le Guin)
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Re: La siccità del 3.800 a.C.
Un libro di storia umano! Grande Luis! Letto tutto d'un fiato!
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Re: La siccità del 3.800 a.C.
Grazie! Ora sto cercando di completarlo con mappe, illustrazioni e bibliografia. Vediamo se ne esce qualcosa di carino.Un libro di storia umano! Grande Luis! Letto tutto d'un fiato!
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Re: La Siccità Del 3.800 A.C.
Complimenti, sempre interessanti questi post storici!!!
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Re: La Siccità Del 3.800 A.C.
molto interessante questo articolo che dimostra come anche in passato ci siano state variazioni climatiche repentine notevoli che seppure a prima vista potevano sembrare catastrofiche poi hanno addirittura portato a una sensibile evoluzione dell'umanità in questo caso con la creazione delle prime città...
dal grafico inoltre risulta come il riscaldamento attuale rimane ancora entro i limiti di quelli avvenuti in passato quando l'influenza dell'uomo sul clima era praticamente nulla, ed ora veniamo da alcuni secoli (quelli della PEG) che sono stati i più freddi dall'ultima grande era glaciale
Ora viene da chiedersi: come facevano i nostri antenati a resistere a un clima così tanto più caldo che già ora ci crea tanti problemi?
Beh ovviamente si era di meno, si viveva meno a lungo (difficilmente si diventava vecchi a causa di guerre e malattie in gran parte incurabili) ma forse ci si adattava meglio essendo la società meno evoluta e delicata rispetto a certe situazioni ambientali, ora la modernità ci ha abituato a tante comodità e come queste vengono a mancare ci lamentiamo più facilmente che in passato... una volta si viveva lo stesso senza condizionatori ventilatori frigoriferi, certo la vita era più dura ma si tirava avanti uguale tanto che l'umanità invece di estinguersi si è al contrario straordinariamente evoluta
Ecco per me l'evenutale decisiva influenza dell'uomo sul clima non può che partire non dall'inizio dell'era industriale, ma dal secondo dopoguerra con una eccezionale esplosione demografica e di sviluppo industriale anche in paesi che prima erano molto più poveri e arretrati, un esempio su tutti la Cina che ora rappresenta quasi UN QUARTO dell'intera umanità ed è una delle nazioni, anzi probabilmente la nazione più inquinante del pianeta e lo sarà sempre di più in futuro
Io non sono né un serrista antropico convinto, né un negazionista di ciò, ma semplicemente un dubbista, e ritengo che l'attuale modifica del clima possa rientrare ancora nell'ambito di una naturale variazione come tante avvenute in passato (una certa forzante umana attualmente c'è sicuramente, ma in quale percentuale??), forse tra qualche decennio si potranno sciogliere gli ultimi residui dubbi, ma quel che è certo è che bisogna già iniziare a modificare il nostro stile di vita per adattarlo a questo evidente cambiamento e per porre almeno un freno a questa corsa verso il riscaldamento palesatasi sopratutto negli ultimi decenni (dagli anni 80 in poi pur con qualche incertezza ogni tanto...)
dal grafico inoltre risulta come il riscaldamento attuale rimane ancora entro i limiti di quelli avvenuti in passato quando l'influenza dell'uomo sul clima era praticamente nulla, ed ora veniamo da alcuni secoli (quelli della PEG) che sono stati i più freddi dall'ultima grande era glaciale
Ora viene da chiedersi: come facevano i nostri antenati a resistere a un clima così tanto più caldo che già ora ci crea tanti problemi?
Beh ovviamente si era di meno, si viveva meno a lungo (difficilmente si diventava vecchi a causa di guerre e malattie in gran parte incurabili) ma forse ci si adattava meglio essendo la società meno evoluta e delicata rispetto a certe situazioni ambientali, ora la modernità ci ha abituato a tante comodità e come queste vengono a mancare ci lamentiamo più facilmente che in passato... una volta si viveva lo stesso senza condizionatori ventilatori frigoriferi, certo la vita era più dura ma si tirava avanti uguale tanto che l'umanità invece di estinguersi si è al contrario straordinariamente evoluta
Ecco per me l'evenutale decisiva influenza dell'uomo sul clima non può che partire non dall'inizio dell'era industriale, ma dal secondo dopoguerra con una eccezionale esplosione demografica e di sviluppo industriale anche in paesi che prima erano molto più poveri e arretrati, un esempio su tutti la Cina che ora rappresenta quasi UN QUARTO dell'intera umanità ed è una delle nazioni, anzi probabilmente la nazione più inquinante del pianeta e lo sarà sempre di più in futuro
Io non sono né un serrista antropico convinto, né un negazionista di ciò, ma semplicemente un dubbista, e ritengo che l'attuale modifica del clima possa rientrare ancora nell'ambito di una naturale variazione come tante avvenute in passato (una certa forzante umana attualmente c'è sicuramente, ma in quale percentuale??), forse tra qualche decennio si potranno sciogliere gli ultimi residui dubbi, ma quel che è certo è che bisogna già iniziare a modificare il nostro stile di vita per adattarlo a questo evidente cambiamento e per porre almeno un freno a questa corsa verso il riscaldamento palesatasi sopratutto negli ultimi decenni (dagli anni 80 in poi pur con qualche incertezza ogni tanto...)
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Re: La Siccità Del 3.800 A.C.
Grande Luisito, comincia a pensare ad un libro dove raccogli questi post, che tra l' altro, come dice Andri, si leggono pure benissimo ... complimenti davvero!
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Grandissimo!! Nono ho parole!!!
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Re: La siccità del 3.800 a.C.
Mi fa un gran piacere che vi siate ricordati di questa vecchia ricerca. Per che tipo di prosieguo optate?Grandissimo!! Nono ho parole!!!
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